ZERI, L’IMPRONTA DELL’UNGHIA, IL FALSO, IL VERO – LA MADONNA DI SIVIGNANO
di Raffaella De Nicola
Devi lasciarti alle spalle la sezione archeologica del MuNDA, il Museo Nazionale d’Abruzzo a L’Aquila. Solo così puoi entrare nel mondo delle Madonne medievali, oggetto, ma sarebbe più il caso di dire soggetto di cultura devozionale, davanti a lei si celebrava la quotidianità, visi dipinti sì, ma scolpiti nella ritualità di popolazioni, ambienti e territori genitrici di quest’ora.
E così se queste tavole raccontano la storia dell’arte fra le fibre del legno o frammenti dei colori, narrano anche altre storie, quelle della civiltà e dell’intimità dei suoi valori.
Come con la Madonna di Sivignano, piccola frazione di Capitignano, austera Madonna che porge lo specchio del mondo ad un Bambino con viso da adulto, e al centro di un tentativo di beffarda falsificazione con l’ausilio di un disonesto parroco di allora…
E’ stata l’unghia di un curioso Federico Zeri che, casualmente, penetrò nel colore di una tavola perfettamente copiata a dare il la, ricostruire una storia, unica, in pieno tempo di guerra, siamo nel 1943/44, il fronte, i combattimenti, e quella devozione popolare che, insospettita nonostante il tutto, trovò oltre l’energia di sopravvivere, anche quella di custodire, preservare e prendere di nascosto la tavola dalla chiesa nascondendola sotto i letti, sotto il fieno, cambiandole continuamente posto come con un familiare, in un abbraccio sospeso e continuo per proteggere il bene più prezioso.
E allora entriamo nel racconto, in questo elettrocardiogramma di un’epoca, nella quarta conversazione nel libro “Dietro l’immagine” che lo storico scrive di fronte la foto di una Madonna del 1250/1270 eccezionalmente conservata grazie alla maestria dell’artista che dipinse non direttamente sulla tavola, ma su un foglio di pergamena sul quale stese una preparazione e poi la tempera.
Ma riportiamole le sue parole da una lezione tenuta nel maggio del 1997 al Collegio Nuovo di Pavia riprese, nel novembre del 2011, da un articolo su “La stampa”
“Molti anni fa, intorno al 1950, passò sul commercio di Roma un quadro munito di perizie di tre grandi esperti: il quadro era considerato un capolavoro della pittura umbra del secolo decimo terzo, molto bello, tutto funzionava: il legno era assolutamente antico, lo stile di una coerenza estrema e, soprattutto, in basso c’era un’iscrizione in caratteri che furono esaminati anche da un paleografo. Ma a forza di guardare, riguardare, toccare il quadro, che era stato affidato a un restauratore per fargli la cornice, ci accorgemmo, io e il restauratore, di una cosa stranissima: sul mento della Madonna c’era una decorazione con dei pallini bianchi.
Un giorno uno di noi, riguardando il quadro, premette con l’unghia su uno di questi pallini e si accorse che il colore tratteneva l’impronta dell’unghia. Ora, un quadro del Duecento dopo sette secoli dovrebbe essersi seccato, la puntina si sarebbe dovuta staccare, non avrebbe mai dovuto trattenere l’impronta dell’unghia. Quindi si ebbe la certezza che era un falso; ma falso di che? Un quadro del genere non si inventa.
Per caso – perché esistono sempre combinazioni e circostanze concomitanti – venni in possesso di una fotografia che rappresentava un dipinto identico. Il quadro era dentro una cassetta di legno antica, come una specie di tabernacolo antico, e poi aveva in alto una stupenda corona del Trecento, con i gigli angioini: quindi il quadro della cui fotografia ero venuto in possesso doveva essere stato fatto o essere venerato nel Regno di Napoli, perché c’erano i gigli angioini. Cerca, cerca, alla fine venne fuori la verità.
Cosa era accaduto? Il quadro di cui avevo la fotografia apparteneva a un piccolissimo paese vicino all’Aquila, che si chiama Sivignano, una frazione di circa cinquanta abitanti del comune di Capitignano, luogo estremamente improbabile. Io avevo la fotografia del quadro originale.
Chiedendo in giro, finalmente sono riuscito a localizzare il posto. Mi recai sul luogo e venni a sapere cosa era accaduto.
Un trafficante di Roma, che poi è lo stesso che aveva eseguito la copia, aveva individuato questo bellissimo capolavoro del Duecento nella chiesa di Sivignano e si era messo d’accordo col parroco per fare una sostituzione. Cioè ne aveva fatto la copia. Volevano mettere la copia al posto dell’originale, prendersi l’originale e venderlo a caro prezzo. Qualcuno degli abitanti si era accorto di questo strano traffico e soprattutto si era accorto che avevano portato sul luogo un fotografo, colui che aveva eseguito le fotografie che avevo io; quindi gli abitanti si erano insospettiti e avevano deciso di nascondere il quadro originale. Questo accadeva nel 1943, poco tempo dopo il passaggio del fronte.
Alla fine del ’43, di notte, gli abitanti – è molto commovente la cosa -, affezionati alla loro Madonna, erano andati in chiesa e, non fidandosi del prete, si erano portati via il quadro e lo avevano nascosto: avevano poi cambiato il domicilio del quadro ogni settimana, per non tenerlo mai nello stesso posto. Nel frattempo era passato il fronte, e il trafficante era morto sotto un bombardamento. Quindi il falso era stato già eseguito, mentre quello vero era nascosto. Chi aveva in mano il falso aveva deciso di metterlo in commercio. Io riuscii a vedere l’originale e rimasi stupefatto dalla bellezza della conservazione originale. Fra l’altro, e` un esempio di quadro che trarrebbe in inganno molte persone, perché è vero che è su tavola, ma fra la tavola e la pittura c’è un foglio di pergamena; il foglio di pergamena ha impedito che il colore originale screpolasse, è un quadro senza cretto. Quando si sente dire «non ha craquelé, quindi è un falso», bisogna vedere com’è dipinto. Quello era un quadro senza cretto.
Immediatamente dovetti avvertire i Carabinieri, che si recarono sul posto e liberarono il quadro dalla sua prigione; fu trovato sotto delle balle di paglia, ma non s’era rovinato. Il quadro originale oggi è nel Museo dell’Aquila. Il falso, che girava con tre perizie, purtroppo non è stato distrutto, ritorna continuamente a galla; è già la terza volta che lo rivedo tornar fuori. Lo chiamo cometa; è una di quelle comete del mercato antiquario. Se non si fosse trovata, per puro caso, la fotografia, individuando il luogo d’origine della fotografia stessa, questo falso sarebbe stato smerciato. Non si riusciva a capire, perché è perfetto stilisticamente; un quadro ineccepibile, però aveva il dettaglio del colore ancora morbido, impossibile in un quadro del Duecento. Non esiste quadro del Duecento in cui rimanga l’impronta digitale, l’impronta dell’unghia: è una cosa assurda”.
E, da quel momento, è iniziata un’altra storia….