IL TEMPO SOSPESO – miracoli, riti ed epidemie nelle opere del MuNDA
di Raffaella De Nicola
La primavera esplode nei suoi colori, indifferente all’uomo in questo tempo sospeso.
Nel silenzio di un museo chiuso al pubblico, in un borgo vuoto, una città ferma, le vite avvolte nella membrana difensiva della propria casa , è l’ora dell’uomo senza infigimenti, molecole di angoscia, riti devozionali piegati davanti una Madonna o in processione dietro una statua che addomesticavano le paure in tempi incerti, drammatici, opere d’arte conservate al MuNDA
Siamo le donne chinate davanti alla Madonna delle Concanelle, 1262, per offrire il dono votivo del grano dentro piccole conche di rame , “concanelle”, ma siamo anche quelle donne pagane che ancora più indietro andavano al tempio di Cerere, da cui è mutuata quella tradizione nella chiesa della Madonna della neve eretta proprio lì, a Bugnara, da dove viene la scultura in legno .
La peste nera, distruttiva, del 1348 doveva ancora venire. La medicina del tempo non aveva strumenti per evitare le conseguenze letali dell’epidemia. La città dell’Aquila si spopolò, interrotte le consuete attività, funerali frettolosi, democratica la morte che livellava differenze sociali, l’inevitabile carestia indebolì duramente la popolazione, la peste “infierì con inusitata durezza”* in un biennio terrificante che vide anche un fortissimo sisma nel 1349.
Lo stesso Buccio di Ranallo morì di peste nel 1363 probabilmente a causa di focolai rimasti dal 1348, tornata ancora nel 1463, è il frate Alessandro De Ritiis a parlarcene e poi, nel 1493, l’epidemia di febbre che fece morire gli aquilani in dieci giorni.
Fu in questo frangente che pregavamo il San Sebastiano di Silvestro dell’Aquila, 1478, invocato e raffigurato contro la peste nell’ex voto per il pericolo scampato alla Chiesa del Soccorso, un’iconografia che ha sedotto l’arte con le ferite aperte dalle frecce, sanguinanti.
E’ del 1480/85 la tempera su tavola che indica un esorcismo pubblico. Siamo davanti al Duomo dell’Aquila, San Giovanni da Capestrano ostenta il monogramma bernardiniano durante una sua predica. A destra e sinistra del suo pulpito il demonio fuoriesce da un uomo e una donna, i capelli dritti, in una platea attonita e sorpresa.
E poi c’è il ricco mercante aquilano Jacopo da Notar Nanni, per chi lo volesse vedere è raffigurato inginocchiato, in quanto committente, a sinistra nel mausoleo di San Bernardino di Silvestro dell’Aquila che fece fare anche un prezioso libro di preghiere che poi sarebbe diventato taumaturgico.
Questo libretto fu regalato alla Beata Cristina dal figlio adottivo di Jacopo, Silvestro.
La donna, nata proprio a Lucoli nel 1480, divenne badessa del monastero di Santa Lucia all’Aquila. La sua vita , fra esperienze mistiche e soprannaturali, si concluse in odore di santità nel 1543 con miracoli che accompagnarono l’esposizione della salma. Al suo raffinato libro d’oro, esposto per la mostra “ La musica degli angeli “ al MuNDA e ancora visibile, il popolo bisognoso e credente dell’Aquila ha da sempre attribuito un potere taumaturgico.
Officiolo della Beata Cristina – scheda al MuNDA di Alessia Di Stefano
Ma eccolo, in un angolo della sala del museo, siamo arrivati dove volevo.
Lui, mezzo nudo, sofferente, lo sguardo talmente umano che è un riflesso, a specchio, del nostro, una malinconia immersiva, struggente, quasi insopportabile, in un corpo a grandezza naturale (182 cm) con il busto girato che intercetta il dolore, lo rappresenta, lo visualizza. E’ l’Ecce Homo di Pompeo Cesura. Che il viso guardi di lato, come se si fosse voltato, si narra, è perché la statua, datata post 1566, fu commissionata, forse per il lutto genitoriale, da Porzia Ciampella, della ricca famiglia aquilana, che prese i voti giovanissima nel convento di Santa Chiara con il nome di suor Cecilia. Ora, questa statua, incredibilmente ignorata nei depositi e poi concessa in prestito alla sede aquilana della Banca d’Italia nel 1995, “degna invece del Louvre” secondo il giudizio di Michele Maccherini, la dobbiamo immaginare nel silenzio del convento, accanto a Suor Cecilia, suo bene personale, a lei vicina nelle veglie di preghiera, tanto mistico il dialogo fra i due che il Cristo alla colonna un giorno si voltò mestamente, per guardarla, Porzia, e le parlò, girando per sempre il suo viso nella posizione dalla quale continua, anche oggi, a guardare l’umanità. Fu questo evento miracoloso che indusse la stanca popolazione aquilana a portarla in processione nel 1646 per chiedere clemenza per la fine dei terremoti.
Tutto questo mentre in questi giorni le campane suonano, il papa prega, le suore salgono sui terrazzi per invocare la fine dell’epidemia, un unico suono che arriva e va lontano, anche oltre l’esperienza devozionale.
Così come sembra poterle raccogliere, oggi, le lacrime di quel Cristo alla colonna dagli occhi inumiditi, onde gravitazionali che portano il dolore fino a noi, in questo tempo sospeso, davanti ai culti custoditi nelle sale di un museo spento ma vivente, davanti o dietro le masse, eravamo noi, a seguire quei riti, in quel tempo cupo di epidemie e calamità naturali, peste e terremoti, in questo tempo, eravamo noi.
In copertina da facebook post di Enrica Chiaravalle in FOTOGRAFIE INEDITE O RARE ” Autentica maschera da medico della peste del XVI secolo che si è conservata nel corso degli anni ed è attualmente in mostra al Museo tedesco della Storia della Medicina a Ingolstadt.”
scheda di Pompeo Cesura da “La bellezza inquieta. Arte in Abruzzo al tempo di Margherita d’Austria” a cura di Lucia Arbace