VIA ADRIANA GRAZIOSI
Ci passeggiamo, corriamo, portiamo i bimbi . Ora è diventata anche pista ciclabile. E’ via Adriana Graziosi. Ma chi era questa tessitrice?
Guardo l’intitolazione della strada e attraverso i suoi scarni dati, Adriana Graziosi 1892-1961, entro a cavallo dei due secoli a Castel Del Monte. La sinuosa strada per arrivare ai 1342 metri immette nell’Abruzzo più interno, pastori e fatica, mentre si sale sotto un cielo gelato che si incunea nel marrone di una terra senza pascolo nei mesi invernali, tanto da dettare la biografia di un territorio. Questa è la chiave di lettura del Comune nel comprensorio della piana di Campo Imperatore, ora poco più di 400 abitanti, 2196, in realtà, nel 1862, con le donne quasi il triplo degli uomini nel periodo invernale. Era questa capacità obbligata delle donne, di gestire la famiglia da sole, circa otto mesi su dodici, a determinare una sorta di matriarcato. E’ Alessandro Clementi a suggerirlo, a sottolineare questa autonomia, tanto che persino nel dialetto il parlato delle donne di Castel Del Monte si distingueva da quello degli uomini, come se fra loro ci fosse un linguaggio segreto, un potere a loro uso esclusivo. Una comunità pastorale, circa 120.000 ovini agli inizi del ‘900, capitale della transumanza , che movimentava un’economia in una realtà sconsolata, tangente ad un quadro del Patini. E’ Francesco Giuliani, pastore poeta dai 9 ai sessantacinque anni, a raccontare come gli anziani, nelle cappe nere, nelle loro lente ore “passavano il tempo con il racconto della misera vita vissuta in Puglia, i cattivi incontri con i briganti e le ingiustizie di qualche tirannello che rappresentava l’autorità”. Le donne, rimaste sole, accudivano gli anziani, i figli che già a sette anni custodivano le greggi, il silenzio graffiato dai telai in ogni casa fino a tarda ora nelle lunghe notti invernali. La lana usata era quella delle pecore tosate ai primi caldi, lavata, cardata cioè pettinata, ridotta a filo intorno alle canocchie. La tessitura, nata con il paese, addomesticava i pensieri delle donne lungo fili di lana, posatisi poi nelle coperte o nei tappeti da tavola con i colori della tradizione, sempre quelli, blu, rosso e verdone che possiamo ancora vedere nel dipinto sulla Natività della Chiesa di San Marco proprio a Castel Del Monte, autore ignoto del XVI-XVII sec.
Fu proprio la rottura di questi schemi, e l’introduzione di nuovi colori a rendere le coperte di Adriana Graziosi pezzi unici, una geometria rivisitata con i telai orizzontali a dieci licci, fino ad allora ne erano usati solo due di licci, che permisero alla tessitrice di Castel Del Monte, terza elementare ma appassionata, creativa, autodidatta e colta, di caratterizzare una produzione che negli anni Trenta e Quaranta le valsero molti riconoscimenti. Parliamo della mostra mercato dell’artigianato tipico a Firenze, la fiera campionaria di Milano e di New York in rappresentanza dell’artigianato abruzzese. Ma non solo. La sua fantasia partiva da un’intuizione, una sfumatura, la tintura della lana fatta personalmente determinando l’intensità del colore, l’armonia dell’accostamento. I motivi rintracciabili nella sua produzione risentivano, secondo Silvio Graziosi, appassionato nipote, giornalista e studioso, geometrie di probabile origine araba importate nel medioevo dai mercanti. I suoi prototipi, conosciuti ed apprezzati, sono stati modelli di importanti industrie tessili italiane. Ricercatissima per il corredo della sposa, che doveva necessariamente avere almeno una coperta matrimoniale, i suoi colori che le foto non rendono, a volte cangianti, parlano di echi lontani ma anche moderni, attuali come solo possono essere le realizzazioni lungimiranti, tappe ritenute “rivoluzionarie in confronto allo spirito conservatore dei castellani” che si esprimeva nei consueti colori scuri. L’arte della tessitura di Adriana Graziosi, appresa dalla madre, i suoi dieci licci mossi dalla pedaliera, la varietà degli intrecci sono , con i quadroni sgarcianti che sembrano usciti da un negozio dell’IKEA, sotto le mie mani. Ne calcolo il peso, la quantità incredibile di ore servite alla preparazione e poi alla realizzazione, il vissuto di una vita. Domani andrò nuovamente a correre, come tanti, sotto a Bazzano, nella via a lei intitolata che accompagna questi nostri difficili anni post terremoto, prima stradina di campagna, poi battuta, ora resa ciclabile. Lì i nostri silenzi si incroceranno con la solitudine di altre storie, con il ticchettio dei telai di Castel Del Monte, paese di donne sole che pettinavano lana e pensieri, fra cumuli aspri di un paese appenninico, riscattati dalle mani magiche di una creatività che neanche il tempo è riuscito a domare.