L’Aquila, 25 giugno 2030

 

Vincitrice del XV festival delle lettere.

Scrivo, in queste notti nere, la  penna secca, le frasi asciutte, i pensieri attorcigliati al filo spinato. Ti scrivo l’ennesima lettera, il bip bip del monitor come un metronomo scandisce il tempo stonato, io che ti aspetto da decenni, ti parlo, forse senti, dicono i medici,  e forse le leggerai un giorno, queste mie  lettere, parole messe insieme della mia  lunga attesa.

Avrei tanto voluto rivederti, i nostri respiri intrecciati a cieli liquidi, io cullata e cresciuta nella tua sicurezza, orizzonti freschi, verdi,  infiniti, la neve, il ghiaccio, il gelo, si lo so anche domani nevicherà,  ma mai, mai,  avrei pensato che tu potessi andartene.

Invece, fra le tue vie come arterie, tra i flussi vitali delle tue piazzette che si aprivano all’improvviso dietro l’angolo, la luce tagliente che spuntava fra  tetti medievali, abbagliante con il suo limpido colore, ci hai portato, improvvisamente, all’origine di una storia primitiva, l’uomo e il fuoco, la lotta, la sopravvivenza, la natura cannibale. E  ho visto, nello squarcio di una notte senza fine, era  il 2009, i fiumi e i mari, le terre e le acque impetuose,  il cielo schiantarsi sulla terra e la tua implacabile forza gravitazionale che, sottotraccia, muove furiosa i destini.  Ho sentito   la vita segreta dell’universo, le pulsazioni e palpiti di un tempo spezzato per sempre, la normalità relegata  a ricordi lontani, opachi,  e il dover vivere, allora, con passo smarrito, intorno ad un’assenza. Ho visto uomini ridere come iene assassinare l’umanità, la gentilezza spuntare come erba fra le rovine,  lacrime ipocrite e sincere,  omucoli essere uomini e uomini diventare omucoli, la rabbia intrecciata all’elica del DNA,  la mercanzia del dolore diventare affare. E mi hai costretta, fra i lampi dei ricordi, le figlie che respiravano polvere d’aprile, fra luoghi mentali e fisici deserti e abbandonati, ad  un viaggio a ritroso, dalla civiltà alle forze arcaiche dell’uomo, dal centro urbanizzato alle anonime new town costruite proprio lì,  dove i castelli fondatori medievali guardavano il cratere che popolarono e che ora è di nuovo vuoto, per ritrovare il nucleo del fuoco,  aggregativo,  molecole e vita, pensieri, persone. Mi ha fatto transitare da un tempo all’altro, tornare indietro e andare avanti, con il miraggio di qualcosa che, forse, sarà, attraversando, senza decompressione, la dimensione della vita, morte, rinascita. Quanti blocchi con questa latente  ansia di pericolo che ti rimane appiccicata, il respiro della vita che ti passa accanto, ti sfiora, non ti tocca e l’ardente desiderio di tornare a vivere, anche senza di te, purchè si viva, aggrappati al qui ed ora, ricostruendo fragili coordinate, superando questo senso di estraneità fra il niente e nessuno. E in questo viaggio a ritroso, cercando forze primitive, il tuo inizio che coincide con il mio primo respiro, la mia rigenerazione con la tua, ricostruirsi un’ esistenza, acchiappare frammenti di splendida banalità, un giro in un  negozio, un caffè ad un bar, una passeggiata fra palcoscenici di altre città, e  non fra i tuoi tristi esoscheletri, tessera su tessera per conquistare uno sguardo nuovo, fresco e luminoso, lo stupore della normalità. Sono andata via e poi sono tornata, poi sono andata di nuovo via e non sono più tornata e forse tornerò o no, non lo so.  Sempre però con questo bip bip del tuo monitor, aspettandoti. I medici, ora, mentre scrivo questa mia ultima lettera,  ti stanno staccando dalle macchine, la riabilitazione sarà  lunga ma ci sarà, le forze che stai recuperando ti restituiscono splendida ed inaspettata.  Tu hai il potere di fermare il tempo con le mani, ma il mio tempo è diverso, siamo nani secondi rispetto al tuo battito, e la polvere nella mia clessidra sta scivolando via. Saluto la città che non sei, ma sarai. E se vuoi ricordarti di come eri, riallacciare i tuoi destini, ricordarti di noi, guarda la neve. Nei fiocchi ci sono i racconti della nostra storia, girano, volteggiano, scendono,  scompaiono ma poi si riformano e riscendono raccontando altre, nuove, sconosciute, storie.

L’Aquila 2030

 

 

 

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