Capestrano – Dove i santi sono guerrieri
Terra veggente lungo i flussi del Tirino.
Quando apre piano la porta lo spettro di luce si allarga a raggiera posandosi su un’ombra che è lì dal 1386. Entro, e varco il tempo, nella casa natale di San Giovanni da Capestrano, vagito di un futuro santo guerriero che avrebbe raccolto un esercito in Ungheria per combattere l’Islam e i Turchi, protagonista vittorioso nel 1456 a Belgrado.
Un Santo entrato di peso nelle frange della spiritualità ungherese che continua ad esprimere la propria gratitudine per l’evitata espansione turca in Europa, tornando ogni anno a Capestrano e lo onora, le braccia alzate ad incitare i soldati, con il monumento in piazza Kapistran a Buda. Non a caso l’Ungheria non lo dimentica, in questo gemellaggio, ma lo ricorda ancora rinsaldando legami e riti, finanziando anche il recente restauro della casa natale.
Zelante, altero, integro, di padre tedesco e madre di Capestrano il Santo, torturato piedi nell’acqua e catena addossata alla parete, i familiari trucidati prima della sua conversione, coinvolgente nelle prediche che divideva con San Bernardino, a L’Aquila, ma anche in tutta Europa, è diventato per la sua forte azione difensiva, e incredibilmente attuale, “Apostolo dell’Europa Unita”.
Terra veggente di guerrieri, questa di Capestrano, se il Santo bambino posava lo sguardo proprio lì, dove nel 1934 Michele Castagna avrebbe trovato l’altro di guerriero, questa volta di pietra calcarea, fra le zolle rimosse come onde di mare, scultura iconica di un Abruzzo preromano, VI sec. a.C., l’insediamento neolitico di Capo d’Acqua alle spalle. Un “mamoccio” di oltre 2 metri di cui ricorrono 81 anni dal ritrovamento, oggetto di una mostra che lo Ricomunica a quella comunità abruzzese, di cui è il logo, il marchio a fuoco, nella sede di Palazzo de’ Mayo a Chieti. Un colosso, un capo, imponente, statua funeraria tornata a parlare con la sua spada, pugnale, lance, dischi corazza “a vista” con l’unico torsetto femminile rinvenuto sempre lì, testimonianza vestina esposta nel Museo Archeologico ancora a Chieti.
Qui, la terra, che ha restituito i suoi sogni, ora allarga la linea evolutiva parlando al futuro dei vigneti delle case vinicole, abbracciati a stento con un grand’angolo visivo dal castello che fu dei Piccolomini, mura possenti che lo difendono dall’afa estiva, tracce di ponte levatoio ed un cortile di mondi medievali, lo stemma di famiglia dalle 5 mezze lune, guardiano sulla bella Valle del Tirino su cui affluisce la storia nell’acqua cristallina di uno dei fiumi più puliti d’Europa, almeno fino a qualche tempo fa.
Caput Presanum, forse da lì Capestrano capo, comunque, di una entità antropologica a metà strada da L’Aquila (45 Km) e Pescara (65 km) appartenente solo a se stessa, autonoma dalle due città, sinuosa sulla scia del bellissimo asse fluviale trafitto per diversi metri dai raggi del sole “popolato da tappeti di sedano d’acqua” piccoli nuclei, ormai, di gamberi e trote, l’unica specie numerosa.
Seguendo il richiamo dell’acqua si arriva a San Pietro ad Oratorium, all’ombra di un alto medioevo, fra il verde dei boschi, i flussi del Tirino, i sogni del re Desiderio, le cime degli alberi. Silenzio e vita dall’VIII secolo nell’insediamento monastico che guardava quello di San Vincenzo al Volturno, nel Molise, di cui rimane solo la chiesa romanica del 1100 summa finale di una comunità, ora di 880 abitanti, in una valle intrecciata al suono del fiume, la bellezza d’arte e il sacro in un luogo che da sempre narra il mistero e la magia, il quadrato palindromo, i segni longobardi e cristiani di un re, Desiderio, entrato nella leggenda del ciclo carolingio in una valle, ampolla naturalistica, in cui la fierezza della terra rende i santi guerrieri.
Un ringraziamento alla pro loco di Capestrano per la cortese disponibilità.